PROLOGO: Ciudad del Rio,
Brasile
Forse ‘città’ era un termine
esagerato per una comunità che vantava poco meno di cinquemila abitanti,
distribuiti in una serie di mini-insediamenti collegati fra loro da strade sterrate
confuse nella fitta vegetazione della foresta pluviale amazzonica. La stessa
città era un tratto irregolare color terracotta nel verde.
Ciudad del Rio doveva il suo
nome al fiume intorno al quale era stata eretta. Il fiume divideva in due la
comunità, le due metà unite da un gioco di piccoli ponti. Il terreno era
fertile, generoso nei suoi frutti. Altro elemento di curiosità, non un metro
quadro di spazio era dedicato all’allevamento. Un vegetariano avrebbe pensato
di trovarsi in paradiso, e magari non avrebbe neppure fatto caso alle leggende
che sorgevano sul fiume.
Il Rio Muerto. Il fiume morto.
Si diceva che il nome fosse
una traduzione data dai primi coloni al nome originale: il fiume dei morti. Si diceva
che il Rio portasse le anime iraconde di un’antica stirpe che abitava quelle
terre da molto prima degli indios. Si diceva che il fiume fosse puro veleno per
chi cercasse di domarlo, o nettare per chi accettasse di vivere secondo le sue
regole.
Le regole dei suoi dèi, degli
antichi abitanti i cui spiriti inquieti vagavano per i flutti.
Regole innominabili,
sacrileghe.
Una cosa era certa, alla fine:
che fosse merito della costanza dei suoi abitanti o di chissà quale influenza
soprannaturale, Ciudad del Rio prosperava da secoli in piena tranquillità. I
suoi abitanti erano gente chiusa, e felice di esserlo. Ostili al progresso,
vivevano oggi come i loro antenati. Per loro, era semplicemente scontato che
continuasse così per le prossime generazioni.
Salvo complicazioni.
MARVELIT presenta
Episodio 24 – Inizia
Di Valerio Pastore (victorsalisgrave@yahoo.it)
Il nome di quest’uomo era
Esteban Santiago. Il suo lavoro era trasportare i rifornimenti. Una volta al
mese, senza eccezioni, il suo barcone solcava le acque del Rio Muerto per
soddisfare certi bisogni…speciali dei suoi clienti. Clienti suoi e di suo
padre, e di suo nonno, via via fino ai primi coloni. Il primogenito della
famiglia Santiago consegnava i rifornimenti, e in cambio otteneva la speciale
benedizione degli spiriti del fiume. Una benedizione che permetteva alla sua
famiglia di non doversi preoccupare del futuro.
Ed era inutile preoccuparsi di
quello che li aspettava dopo questo breve tempo trascorso in questa valle di
lacrime. Era già abbastanza difficile venire a patti con quello che si doveva
fare ora…
Finalmente, superata un’ultima
ansa, si arrivò a vedere i quartieri di Ciudad del Rio. Esteban, in un certo
senso, era contento: questo carico, a differenza dei precedenti, era davvero speciale. E, soprattutto, era il
suo ultimo: forse, oggi sarebbe morto, ma avrebbe fatto la prima ed unica cosa
giusta della sua vita. La sua vera vergogna era di non avere saputo prendere prima
questa decisione –doveva continuare a ripetersi che gli spiriti avrebbero
scelto qualcun altro. Dopo averlo ucciso. “Ci siamo. Tenetevi pronti.”
Il barcone attraccò al porto
sulla riva sinistra. Una piccola folla festante accolse l’uomo –ecco, era proprio
questo ad inquietarlo maggiormente.
Se si fossero comportati diversamente, magari guardandolo male, muti durante le
operazioni di scarico, aprendo la bocca per proferire oscenità, allora sarebbe
stato meglio. Invece, erano così felici e spontanei, come se fosse arrivato un
bel carico di bistecche, e non…di…
Santiago si sforzò di
restituire un sorriso. In fondo, come si ripeté per l’ennesima volta, era
finita. “Coraggio, amici! Oggi ho della roba davvero speciale! Accomodatevi!”
E, diligentemente, si fece da parte mentre sette uomini robusti salivano a
bordo rivolgendogli cenni e frasi di saluto. A dire il vero, in quella loro
felicità si poteva percepire una nota d’impazienza, di qualcosa di bramoso.
Esteban non poteva fare a meno di associare quel comportamento a quello dei
cani di fronte a un bel pezzo di pane: anche il cane sorrideva contento, ma era
pur sempre la fame a stirare all’insù
la sua bocca…
Gli uomini aprirono il
portello della stiva. Il primo fece per entrare… E, invece, si fermò all’improvviso,
alla vista di tutte quelle strane, piccole luci che brillavano nel buio. “Esteban, que pasa..?” chiese, più
incuriosito che irritato. Era la prima volta in assoluto che un carico non
veniva consegnato, ed era come se
Poi, una mano emerse
dall’ombra. Una mano dalle carni gialle, la pelle tesa come cuoio. Afferrò il
volto dell’uomo, che emise un verso soffocato. Gli altri uomini si tirarono
indietro, increduli.
Esteban vide il proprietario
di quella macabra mano emergere dalla stiva, sempre reggendo saldamente la sua
preda. ‘Emergere’ era la parola adatta: non camminò, ma fluttuò fuori dalla
stiva, sinistra figura magra seminuda, coperta da qualche straccio grigio e
lacero, gli occhi due raggrinzite sfere bianche incassate nelle nere orbite. La
morte incarnata.
La creatura lasciò andare
l’uomo, che atterrò ai piedi degli altri. Al posto della sua faccia c’era ora
uno spaventoso buco incassato! Gli uomini urlarono e maledirono.
Esteban, seduto a prua, lo
sguardo rivolto alla riva destra del fiume, tirò fuori dalla tasca una fiasca
di gin. La aprì e la sollevò in un
brindisi a quel posto terribile. “Dovevate aspettarvelo, carogne schifose. Godetevela
tutta!” e bevve a garganella l’intero contenuto. Suo padre avrebbe
disapprovato, ma mentalmente mandò al diavolo anche lui, tanto all’inferno si
sarebbero sicuramente rivisti, e presto!
Gli altri uscirono sui loro
piedi, otto figure che questa gente non aveva mai visto prima, salvo una, che
riconobbero dai racconti che popolavano i loro incubi: Anubi, il nero dio-sciacallo egizio, signore dei morti, giudice
delle anime. Gli altri erano:
Ø Un uomo orrendamente sfigurato, un mostro dalla pelle
a squame e la bocca dai lunghi denti aguzzi priva di labbra, gli occhi grandi e
rossi dalle pupille a fessura: Hobgoblin.
Ø Una licantropa dalla folta pelliccia bianca, l’occhio
destro avvolto da un tatuaggio lineiforme azzurro e rosso, e il corpo coperto
da un’elegante armatura d’argento: Nightshade
Ø Un uomo avvolto in un costume di pelle blu, i guanti e
gli stivali d’argento, come d’argento era la sua maschera dagli occhi rossi e
la chioma di filo spinato: Moonhunter.
Ø Un uomo in un’armatura nera e costume rosso sangue,
caratterizzato dal simbolo di teschio e tibie incrociate all’altezza del petto.
Il suo elmo era anche un teschio umano alato minaccioso: Dreadknight.
Ø Un colosso umanoide dalla pelle metallica luccicante: Inferno.
Ø Un giovane in abiti civili ed un ampio mantello
scarlatto come i guanti e gli stivali: Hood.
Ø Un ratto antropomorfo avvolto in un elegante
impermeabile nero, un bastone d’ebano nella mano artigliata sinistra: Verminus Rex.
Lo sciacallo fece un cenno con
la testa al ratto, che sollevò la mano destra all’indirizzo degli uomini e
delle donne. “Sie sind sehr böse
Menschen, meine Damen und Herren. Heute bezahlen Sie den Preis für Ihre Sünden,”
disse con calma, poi la sua mano liberò una tremenda fiammata di puro fuoco
infernale!
Non solo le carni, ma lo
stesso spirito di quelle persone fu consumato all’istante. Le loro urla furono
qualcosa che nessuno degli altri Supernaturals, esclusi Anubi e Hobgoblin,
avevano avuto il dubbio onore di udire prima. Nightshade osservò quell’atroce
spettacolo, morbosamente affascinata: quella gente era a dir poco inumana, e
questo era il prezzo dei loro peccati, eppure di fronte ad un dolore
così…definitivo, avrebbe voluto chiedere a Rex di aspettare, che forse non
tutti…
“Non avere dubbi, mortale,”
disse il dio. Solo allora, lei tolse lo sguardo dalla pira funebre, i corpi
ormai ridotti a mucchi informi di cenere e frammenti d’osso, per puntarlo verso
Anubi. Lo sciacallo la fissava con quei tremendi occhi verdi, intensi, capaci
di scrutarla fin nel più profondo del suo essere… “Se non fossimo intervenuti,
al nostro posto, in questo barcone ci sarebbe stato un altro carico di bambini
per il loro festino. Il sacrificio avrebbe contribuito a mantenere questa
comunità prospera, come ogni mese di ogni anno, da secoli e secoli.”
Nightshade rivolse un ultimo
sguardo alla stiva, a quel nido di orrori. Per quanto venisse lavato e
disinfettato, il terrore ed il dolore di centinaia di innocenti passati per
quel calvario senza ritorno avevano letteralmente impregnato la nave. Per tutta
la durata del viaggio, aveva avvertito il fetore del sangue e degli escrementi,
aveva sentito il tocco di quelle piccole mani come se fossero stati accanto a
lei, in cerca di conforto. E per tutto il viaggio, Tinda Johnson si era
ripromessa che i vermi responsabili di quell’orrore l’avrebbero pagata cara!
Le bastò ripensare a quei
momenti per annuire e vergognarsi di avere quasi ceduto ad una immeritata
pietà. “Cosa facciamo, adesso?”
Moonhunter rispose
imbracciando uno dei fucili a canne mozze che portava sulla schiena. Si
avvicinò a Esteban Santiago, che si limitò a fissarlo con un’espressione
rassegnata. “Finiamo di pulire qui, per cominciare.” E puntò l’arma sul cranio
dell’uomo. “Ultimo desiderio, schifoso?”
“Che finisca in fretta,” fu la
risposta.
Moonhunter lo accontentò,
esplodendo un colpo. Il cranio vaporizzato, Esteban cadde in acqua ancora
reggendo la fiaschetta. L’ex cacciatore di licantropi scosse la testa. “Ma come
fanno certi eroi a limitarsi a un buffetto, con gente simile..!”
“Ormai Vitellia saprà della
nostra presenza,” disse Anubi. “Lei è mia, ricordatelo. Nightshade, percepisci
l’artefatto?”
La femmina chiuse gli occhi,
si concentrò, e quando li riaprì, il tatuaggio brillò di luce propria, e così
le sue pupille.
In quella condizione, il mondo
era una surreale sovrapposizione di materia ed energie mistiche e vitali, un
quadro vivo come nessun occhio poteva percepire, se non forse gli dèi stessi.
In quel quadro di colori
vibranti, la corruzione di Ciudad del Rio era come una macchia fatta con un
inchiostro dai colori cupi, un’immagine al negativo. E in essa pulsava come una
stella di pura luce nera. Faceva male guardarla, eppure la licantropa ne era
come attratta. Vedeva le spire del Serpente avvolgere quella luce oscura, e
ringhiò come se volesse affondarvi le zanne. “Lo vedo.”
Anubi annuì. “Avverti il
richiamo ancestrale della specie, notevole.”
“Il richiamo ancestrale..?”
“I licantropi naturali nutrono
un odio istintivo verso Set, le sue manifestazioni e verso gli artefatti
imbevuti del suo potere. Saprebbero trovarne uno in mezzo al più remoto
deserto.”
“Notevole davvero,” annuì lei,
considerando soprattutto che non era
una licantropa naturale, ma che doveva il suo stato all’assunzione di un siero
distillato dal sangue di un lupo. O forse era la presenza spirituale di Pintea
che la stava modificando più di quanto sospettasse…
“Sapete
cosa fare,” disse Anubi. “Il vostro obiettivo è l’Anello del Serpente.”
Cape Cliff, Salisgraveshire,
Scozia nord-occidentale. 60 minuti prima della partenza.
Gli oggetti apparvero
nell’aria mano a mano che venivano nominati, un carosello di artefatti
infernali contraddistinti, vuoi nella forma, vuoi nei motivi finemente
decorati, dalla presenza dell’inconfondibile Serpente a sette teste.
Il Conte Victor di Salisgrave,
tornato nel pieno del suo vigore dopo l’assunzione della Celestis Iuvinetia[i],
sembrava…felice dal solo elencare quegli oggetti
“
“L’Anello, invece, è un
artefatto per così dire minore. Fu forgiato come complemento alla Zanna ed alla
Pelle, parti di un insieme il cui portatore doveva essere il campione degli
uomini-serpente, così come il nobile Pintea è stato il portatore di un’armatura
forgiata per i più nobili guerrieri lupini.
“Tuttavia, quando gli
uomini-serpente ebbero terminato di lavorare alla loro armatura invincibile,
iniziarono a lottare ferocemente fra di loro per l’onore di indossarla. Il
massacro che seguì coinvolse i creatori stessi dei mistici oggetti, e i loro
segreti furono persi per sempre.
“Tempo dopo, l’Anello del
Serpente fu utilizzato da alcuni stregoni, poi le tracce ne furono nuovamente
perse.
“E per quanto riguarda
Il Conte scosse la testa.
“Altri penseranno alla Corona. Quanto agli Occhi, uno di essi è già nelle spire
di Set, l’altro è custodito dai licantropi del Power Pack.”
“Chi..?” fece Nightshade.
“Saprete
di più al rientro dalla missione. Ora avete le vostre istruzioni, signori. Non
deludetemi.” E dal modo in cui pronunciò quell’ultima frase, era chiaro che non
avrebbe accettato meno del successo assoluto, quale che ne sarebbe stato il
costo…
“Oddiooddiooddiooddio…” Trevor
Corson, fino a poco tempo fa, era semplicemente un cittadino di NY, o almeno la
sua versione nell’elusivo Darkmere. Una serie di circostanze lo aveva messo
insieme a quel gruppo di mostri, ma lo sapeva Dio che non vedeva l’ora che
fosse finita!
Per ora, doveva accontentarsi
di stare in sella ad un destriero geneticamente mutato dal manto d’ebano e le
ali di drago, stringendosi con tutta la sua forza ad un individuo che del
crimine aveva fatto il suo mestiere.
“Ti manca il gusto
dell’avventura,” commentò Dreadknight, guidando il suo fedele Batwing verso la chiesa che sorgeva sul
lato destro del fiume. “Eccola. E guarda che bel comitato di benvenuto.”
Di fatto, l’intero paese era
radunato nel quartiere dove sorgeva l’edificio sacro.
“Quelli sono ragazzini?” fece Hood, puntando verso la
folla.
“Difficile credere che siano
parte di questo male,” disse Moonhunter, cavalcando la sua skycicle, Nightshade
seduta dietro di lui. “Nel dubbio, cerchiamo di sistemare gli adulti.”
“So come fare,” disse Carrion,
accosciato sullo stesso aliante di fuoco mistico su cui stavano Hobgoblin e
Verminus Rex. Senza aspettare risposta, il sinistro zombie vivente scese con un
salto, e fluttuò fino alla folla. Qualcuno tirò sassi, altri spararono con
vecchi fucili. Non potevano colpirlo, ma se anche ci fossero riusciti, non
avrebbero certo conseguito risultati significativi.
D’altro canto, a Carrion bastò
usare il suo nefasto sguardo per trasformare cinque ragazzi in suoi fedeli
schiavi! Quegli stessi giovani fra i tredici e i sedici anni che un attimo
prima volevano il suo sangue, si immobilizzarono e divennero muti. Fu solo un
istante, prima che si rivoltassero contro le persone a loro più vicine,
seminando l’orrore fra i loro simili!
“Ecco, quello è un trucco che
mi fa vomitare,” disse Moonhunter
Hobgoblin fu meno raffinato.
Afferrò dalla sua sacca una manciata di lame ricurve e nere, simili a minuscoli
pipistrelli affilati. Li lanciò, e quelle lame divennero veri pipistrelli
infernali, dotati di una loro terribile volontà propria, diretti contro i soli
adulti. Ogni preda che fu raggiunta si trovò la gola tagliata. Spruzzi di
sangue tinsero la folla. Il panico divenne incontrollabile.
“Anubi ha detto che solo
l’armatura di Pintea può distruggere l’anello definitivamente,” disse
Moonhunter, cercando di distaccarsi da quella scena. Una cosa era stata colpire
quel mostro di Santiago, sapere che faccia poteva avere il male. Ma questa era
una folla, ed era così grande -erano davvero tutti coinvolti nel culto di Set?! Era difficile non provare pietà
quando il nemico piangeva, urlava ed implorava… “Cerchiamo di farla finita alla
svelta, pelosetta, ok?”
“Tu
pensa solo ad entrare là dentro,” ringhiò lei, impaziente, gli occhi fissi sul
palazzo, dimentica di niente altro che dell’oggetto in esso custodito. Ora più
che mai gli ricordava una fiera selvaggia che avesse puntato la sua preda.
La villa era la struttura più
lussuosa di Ciudad del Rio. Sita in cima alla collina che dominava la comunità,
assomigliava più ad una fortezza, circondata com’era da recinti che erano
solide mura in pietra e immersa nel mare di fronde del bosco. Rappresentava un
difficile obiettivo da raggiungere, dal cielo e da terra.
La sua padrona sapeva bene che
quelle ‘difese’ andavano bene per l’improbabile arrivo di una forza d’assalto costituita
da uomini. E che gli invisibili, mistici sigilli disposti lungo il terreno potevano
funzionare solo contro nemici di una certa potenza…
Come quel golem infuocato che
stava continuando a picchiare i suoi pugni contro la barriera. Ogni colpo
generava cerchi concentrici di luce smeraldina. L’aria tremava ad ogni colpo
come ad un’esplosione. Ma il golem o era troppo stupido o troppo testardo per
capire che stava solo sprecando le proprie forze.
La donna si allontanò dalla
vetrata panoramica. “Spero non fosse quello il tuo concetto di ‘diversivo’,”
disse con tono calmo, anzi quasi divertito. “Così come quei tuoi improbabili
‘alleati’: sapere uccidere qualche adepto del Dio, per quanto riprovevole, non
permetterà loro di avvicinarsi all’Anello del Serpente.”
Il nero sciacallo antropomorfo
non lasciò trapelare alcuna emozione, mentre teneva gli occhi infuocati fissi
sulla donna. Come era possibile che
un’adepta di alto rango del Serpente non percepisse la presenza di un suo
nemico naturale?
Anubi si avvicinò alla donna,
torreggiando su di lei. “Sei bella come ti ricordavo, Vitellia. Credimi, sarà un piacere sfigurare ogni punto del tuo
corpo prima di consegnarlo all’aldilà.”
Lei rispose con un sorriso
malizioso. “Ti ringrazio per il complimento, signore dei morti, ma è rivolto
alla persona sbagliata. Mia madre è morta da molto tempo, ormai. Io sono Assinthia.”
Il fiato del ringhio di lui le
accarezzò il volto come il ghibli. “So che menti. Il corpo è diverso, umano a
tutti gli effetti, ma non è che un guscio. Manifestati, strega, e affrontami
ora che so cosa aspettarmi da te.”
In risposta, Assinthia
accarezzò il petto nudo dello sciacallo. “La tua ira ti acceca, Anubi:
percepisci la presenza di mia madre perché essa permea ogni cosa, ogni foglia
ed ogni sasso di questo luogo. Ed essendo io sangue del suo sangue, è naturale
che tu pensi a me come ad un suo recipiente. Lo sai che sei davvero bello?
Capisco perché lei accettò di giacere con te, prima di imprigionarti.”
Se la donna voleva provocare
una reazione, ci riuscì in pieno! Con una velocità impressionante ed un ringhio
che fece tremare le pareti, Anubi sferrò un colpo secco all’addome della donna,
gli artigli carichi di energie mistiche!
Assinthia fu proiettata contro
il tavolo centrale, il corpo coperto del proprio sangue. La schiena si spezzò
all’istante. Il tavolo venne rovesciato, il corpo adagiato sul suo bordo ad un
angolo innaturale.
“E hai anche il coraggio di ricordarmelo, strega?!” Anubi si
avvicinò al corpo. “Se tua madre ci sta guardando, allora apprezzerà questo sacrificio…”
Invece, all’improvviso, il
corpo spezzato di Assinthia si sollevò! Le ossa protestarono e schioccarono
mentre venivano ricostruite dalla terribile magia della strega. Le ferite
emisero un osceno suono risucchiante, mentre si richiudevano. Volendo ignorare
il sangue che le copriva il ventre e il petto, e gli squarci sul vestito,
sembrava perfettamente in salute. Si ravviò i lunghi capelli con un gesto.
“Un trucco che non ti salverà
dalla mia ira.” Anubi si avvicinò a rapidi passi, pronto a colpire, e di nuovo
calò il braccio con la stessa potenza di prima…
Questa volta, però, anziché
conficcarsi nel ventre, la mano fu trattenuta in un viluppo di energie
mistiche! “Cosa..?”
“Mi piacerebbe sfruttare
questo momento per strapparti quella mano,” disse la strega. E a riprova,
aumentò la pressione del viluppo sull’arto. Anubi cadde in ginocchio. Il dolore
era tremendo, ma non cedette. Del resto, gli sarebbe bastato poco per farla
finita…
“…Ma volevo solo la tua
attenzione per chiarirti un particolare di questa lotta. Dovresti cortesemente
dire ai tuoi lacché di cessare il loro attaccio al tempio.”
“Divertente!”
un atto di volontà, e gli ectoplasmi mistici furono distrutti. Anubi sollevò
proprio la mano offesa, pronto per sferrare il colpo di grazia. “Mi bastarono
le menzogne di tua madre, tu muori!”
Ad una tremenda esplosione di
fuoco infernale, il pavimento crollò, rivelando una vasta rampa che scendeva
sotto le fondamenta della chiesa. Verso una caverna sotterranea.
La vera chiesa di Set era
stata costruita in quella struttura, rinforzando le pareti con colonne di marmo
rivestito di acciaio nero. Il pavimento era costituito da un’unica distesa di
serpenti furiosi. La massa di corpi lucidi, neri o verdi che fossero,
strisciava e pulsava, coprendo completamente ogni millimetro della superficie
sottostante. Il rumore delle spire e dei sibili degli animali era assordante.
L’odore del loro veleno appestava l’aria. I loro occhi riflettevano la luce
delle torce, trasformandosi in tante piccole gemme di brace.
E quanto alle torce stesse,
erano costituite da teste di lupo nelle cui fauci spalancate bruciava il
combustibile. Il sangue essiccato creava macabre strisce scure lungo le pareti…
E al centro di quella scena da
incubo, stava l’altare dominato dall’effige eptacefala di Set, nelle cui fauci
brillava, bellissimo e letale, l’Anello del Serpente. Avrebbe potuto trovarsi
sulla luna.
“Carrion, mio caro, carissimo
amico, dimmi che puoi costringere quella massa di spaghetti a fare quello che
vuoi,” disse Hood. “Io i serpenti li odio davvero!”
Fu Nightshade ad avvicinarsi.
Come fosse stata un magnete, la sua sola presenza scatenò quella dei serpenti,
che sollevarono le teste, sputando veleno, sibilando rabbiosi. Il mare dei loro
corpi si agitò come una massa liquida.
La licantropa quasi si
acquattò. Il suo pelo era dritto come fosse stato quello di una spazzola, i
suoi denti erano completamente esposti in un lungo ringhio assassino, gli occhi
occupati del tutto dalle pupille. Gli artigli si contraevano ritmicamente…
“Ora basta,” disse la voce di
Anubi, dietro di lei. Lei si voltò di scatto, per un momento pronta ad uccidere
per quell’intrusione. Poi, come gli altri, rimase stupefatta di vedere il dio
prigioniero in ceppi mistici, umiliato, con una donna al suo fianco.
Assinthia si presentò, poi
disse, “Vi consiglio caldamente di fare la scelta del vostro capo, e di
arrendervi senza ulteriori spargimenti di sangue. O quelle decine e decine di
innocenti che pensavate di avere salvato moriranno di una morte più o meno
atroce.” Sorrise, rivelando una chiostra di denti verdi. “Dipende da voi.”